LADRI DI CYCLETTE


tratto da


SOGNI REALMENTE VISSUTI’












A Enriquez e a tutto il TDP,

che la vostra immaginazione

doni colore a questo racconto















Nella vita non ci sono traguardi oltre i quali fermarsi,

ma cammini da percorrere’

Marcos





Era un caldo martedì di giugno e come tutte le mattine, al sorgere del sole si avviò lentamente verso il bazar di Marrakesh. Da quando, causa l’avanzare degli anni e le conseguenti disfunzioni corporali non era più riuscito a saltare in sella alla sua bici, aveva preso la decisione di mollare tutto e trasferirsi in Marocco, dove, nel centro della Casbah, aveva acquistato per pochi soldi una vecchia baracca, nella quale cucinava un’unica ma ineguagliabile pietanza: degli strabilianti spaghetti alle ‘chele di crampo’. Il piatto era rinomato su tutto l’Atlante, in quanto forniva un’immediata e straordinaria energia, che permetteva prestazioni fisiche fuori dal comune; per questo, giovani baldanzosi e vetuste creature accorrevano da ogni parte per assaporare la prelibata creazione. L’unico inconveniente era che , una volta digerito il pasto, si veniva colti da una serie di crampi allo stomaco ed agli arti inferiori, i quali gettavano l’individuo in uno stato di prostrazione con conseguente assopimento, dal quale non tutti riuscivano a risvegliarsi.

Quel giorno mentre, in un pentolone arrugginito e ricoperto di croste di cotture precedenti, stava elaborando la sua strepitosa ricetta segreta, vide avvicinarsi a fatica e avvolto in un olezzo di tabacco e Johnny Walker, un uomo ansimante appesantito dagli anni.

“Vecchio triceratopo!”, gridò riconoscendolo immediatamente, “Qual buon vento ha condotto la tua vecchia carcassa fino qua?”.

“Finalmente ti ho trovato, manico di padella sciolto a bagnomaria”, rispose l’altro con un ghigno di soddisfazione.

Era proprio lui, Ciccio Ulrich! Da quanto tempo non si vedevano! Nonostante i suoi 2 pacchetti di drum al giorno e 125 battiti al minuto in stato di dormi-veglia, Ciccio era ancora vivo. Negli ultimi anni, causa una folgorante artrosi alle dita, aveva dovuto abbandonare la sua amata chitarra e, per compensare tale perdita, si era dedicato anima e corpo ad uno strano hobby: collezionava vestiti da danzatrice del ventre provenienti dai più svariati paesi mediorientali, ed era addirittura riuscito a procurarsi 2 veli appartenenti ad un’odalisca di Gensis Khan. Proprio per questo motivo si trovava in Marocco e, sapendo del suo viaggio, era stato incaricato da alcuni personaggi del tour di stanare il vecchio patron.

“Da quando te ne sei andato” , cominciò Ciccio Ulrich , “il tour non ha avuto più ragione di esistere; uno dopo l’altro i vari personaggi si sono dissolti nel nulla, alcuni recano in precarie condizioni, i più fortunati sopravvivono ai limiti della decenza”.

“Dai raccontami di loro!”, disse raggiante Enriquez che al solo sentir parlare del tour gli si erano illuminate le pupille annebbiate da anni di catarrate.

I due, nel frattempo si erano seduti a gambe incrociate su un tappeto persiano, e davanti ad una tazza di tè verde ed un narghilè carico di erbe aromatiche Ciccio Ulrich continuò il suo racconto.

“Eh...purtroppo siamo giunti quasi tutti al capolinea, prima o poi qualcuno taglierà il traguardo…Ti ricordi il Cecido? Lui la morte del TDP non l’ha proprio retta ed è caduto in uno stato di forte depressione. Il negozio ha fatto bancarotta; negli ultimi tempi era più il gas che si sniffava di quello che vendeva. Ha passato gli ultimi due anni rinchiuso a Villa S.Pietro per cercare di disintossicarsi”.

“Che brutta fine’, lo interruppe Enriquez ,‘Chissà se riuscirà a trovare un po’ di serenità… E del Malox che mi racconti?”.

“Lui è rimasto segregato nel suo ufficio comunale, non c’è stato verso di mandarlo in pensione, si è incatenato alla scrivania e lì passa anche i suoi fine settimana davanti al computer. Si è creato più di 2500 profili su Facebook e chiede giornalmente l’amicizia a miriadi di utenti, ma senza alcun esito positivo. Nemmeno un intero gruppo di ballerine moldave è riuscito a staccarlo da lì.”

“Povero Malox’, aggiunse Enriquez con sottile ironia, ‘da lui proprio non me l’aspettavo…E il Verdurer come se la passa? Lui sicuramente avrà tenuto botta…”.

“Lui sì, non se la passa poi così male. Anni fa a scoperto di poter impiantare ossi di pesca ed albicocca nelle ossa umane tarmate dal tempo, ed ha così trasformato metà del suo magazzino di frutta e verdura in una clinica specializzata in questo tipo di interventi. La cosa li ha fruttato un ben gruzzoletto; è soprannominato da tutti il ‘re dell’osteoporosi’. Ogni tanto lo si vede lungo la ciclabile del lago di Loppio su una bici sostenuta da due grosse rotelle, ma purtroppo ogni volta deve subire gli insulti di veloci ciclisti per intralciare il traffico”.

“Grande Verdu’, ha sempre avuto la stoffa del vincente…e il Ciucciarode che fine ha fatto?”. Aspirando una lunga boccata dal narghilè Ciccio Ulrich proseguì: “Il Ciucciarode? Anche lui messo male. I suoi figli, dopo aver passato gli anni migliori della loro gioventù in sella ad una bici, si sono letteralmente rotti i coglioni: hanno rilevato l’attività del padre trasformandola in un negozio di altoparlanti e megafoni. Loro se la passano bene, ma il vecchio Ciuccia è ormai costretto su una sedia a rotelle, sulla quale si è fatto montare un cambio Shimano a 27 velocità, e trascorre le sue giornate lanciandosi ad una velocità da brivido su e giù per il corridoio di casa. A causa di infinite collisioni, le pareti ormai sono bucherellate come groviera.”

“Che tristezza…e il Ciclone che combina?”.

“Il Ciclone?? Il Ciclope vorrai dire! Gli è stato storpiato il nome dopo che, durante una fantasmagorica balla, si è accecato un occhio portandosi una bottiglia di Guiness un po’ troppo sopra la bocca. Lui però lo vedo spesso, penso abbia trovato la sua dimensione; dopo essersi sottoposto senza successo a tre interventi di liposuzione, ha deciso di aprire un bar dove serve solo birra, wurstel e senape di Digione. Guai chiedergli una gazzosa o un succo di frutta, potresti venire colpito dal suo pesante bastone senza il quale non potrebbe affrontare neanche un metro dato l’incredibile peso raggiunto”.

A quel punto Ciccio Ulrich fu preso da un attacco di tosse canina, ma aspirando due profonde boccate dal narghilè la crisi si placò e, un po’ a fatica, riprese a parlare:

“Mi trovo qui perché il Mago G, ancora relativamente lucido di mente, ha deciso di riunire i vecchi personaggi del tour per affrontare insieme un’ultima gara prima che qualcuno se ne vada definitivamente. L’appuntamento è per mercoledì 21 giugno alle h. 20.00 presso il ‘Bar del Ciclope’ e te non puoi proprio mancare!”.

Enriquez, che aveva abbandonato da anni orologio e calendario, chiese con leggerezza: “ma che giorno è oggi?”.

“Il 20 giugno”, rispose Ciccio Ulrich, “dobbiamo affrettarci!”.

Enriquez non ci pensò su neanche un secondo: si mise in saccoccia una buona scorta di chele di crampo e in un batter d’occhio barattò la sua ricetta segreta con una vecchia Skoda e, caricato a fatica il pesante Ulrich e il narghilè dal quale non aveva nessuna intenzione di staccarsi, partì alla volta di Tangeri nella speranza di trovare già in serata un imbarco. La fortuna quella volta fu dalla sua parte: dovette sacrificare una buona quantità di chele per cucinare i suoi prelibati spaghetti e corrompere l’intera capitaneria di porto che li permise di imbarcarsi su una scalcinata petroliera carica di clandestini cingalesi diretti a Genova.

Arrivarono al porto italiano alle 16.00 del 21 giugno e, sempre grazie alle stupefacenti chele di crampo cucinate per un camionista cecoslovacco diretto al Brennero, in men che non si dica si si ritrovarono puntuali all’appuntamento. Il guidatore – che si rivelò essere socio onorario del TBC – ‘Tarci Batton Club’, alle 19.50 li scaricò davanti al Bar del Ciclope e, ignaro degli effetti collaterali degli spaghetti, si diresse a tutta velocità verso il confine. All’altezza di Bolzano fu assalito da forti dolori di stomaco e da un lancinante crampo che gli immobilizzò il piede sull’acceleratore, facendogli perdere il controllo del mezzo e finendo secco contro il museo di Otzli, dove trovò eterno riposo proprio accanto alla rinomata mummia.

Intanto nel bar , con addosso le loro magliette bianche e nere bombardate dalle tarme, uno dopo l’altro arrivarono tutti i personaggi del tour: chi su sedie a rotelle, chi con tricicli o girelli, molti con stampelle e treppiedi con la flebo. L’incontro fu pateticamente emozionante; tra abbracci e baci bavosi su alcuni visi si intravidero delle lacrime.

Il Ciclone offrì birra e wurstel a tutti, causando non pochi problemi gastrici; Ciccio Ulrich per l’occasione, nonostante l’artrite, inforcò di nuovo la chitarra e si cimentò in uno straziante lentissimo blues.

Direttamente dalla riviera romagnola arrivò anche Thaeng Mo che , data l’età, era ancora raggiante: negli ultimi tempi si era trasferito sul lungomare Adriatico, dove si guadagnava da vivere vendendo angurie su una specie di triciclo, con il quale percorreva giornalmente il tratto Riccione - Lido di Jesolo. Fu seguito dall’ingresso a braccetto di Olimpia e Pantuna; quest’ultimo, non volendo assolutamente abbandonare la tipografia, ma non riuscendo a tenere il passo con i tempi, si occupava unicamente di stampare fiorellini su rotoli di carta igienica, che poi donava agli amici bisognosi in cambio di vecchie foto del tour.

All’improvviso fece irruzione il Ciucciarodelle munito di megafono collegato ad un altoparlante a 3000 watt e richiamò immediatamente tutti all’ordine. Prima che fosse troppo tardi Mago G li strappò l’arnese di mano e prese la parola:

“Ragazzi, è un immenso piacere rivedervi tutti qua riuniti ed in splendida forma!”.

A quel punto sguardi perplessi si incrociarono, colpiti da immagini di pietosismo e disgusto, e da lì capirono che anche il Mago G non godeva di ottima salute mentale. Mirko continuò:

“Dato che siamo ancora tutti vivi e vegeti, ho deciso di organizzare questa rimpatriata prima che uno di noi ci lasci”.

Aprì con non poca difficoltà una busta contenente le istruzioni per lo svolgimento della tappa e con voce tremolante lesse:

“Oggi mercoledì 21 giugno 2050, solstizio d’estate, il tour de pance ritorna a brillare! Tutti i concorrenti, a partire dalle 22.00, hanno 3 ore di tempo per procurarsi una cyclette dotata di dinamo e luce. Alle 1 di notte ci ritroveremo tutti qua e verremo trasportati sulla Ponale. Ci posizioneremo con i nostri mezzi sulla terrazza del bar diroccato vicino all’incrocio per Pregasina. Lì cavalcheremo le nostre cyclette e per 30 minuti” – poi guardandosi intorno si corresse – “facciamo 20, pedaleremo come ai vecchi tempi. Chi farà brillare di più la propria luce avrà vinto la vera ultima tappa. E allora 3 , 2 , 1 via baldi giovani! Abbia inizio la gara!!”.

La partenza fu disastrosa! Tutti cercarono di mettersi in moto tra scricchiolii di ossa avvolte da flaccide pelli rugose, ma inciamparono e caddero a terra in un groviglio di stampelle e flaconi della flebo.

“Non ce la faremo mai”, pensò Enriquez ritrovandosi schiacciato sotto l’enorme peso del Ciclone. Ma proprio nel momento in cui l’ossigeno stentava ad arrivare al cervello, nella mente gli balenò una geniale idea. Con un colpo di reni si tolse il massiccio di dosso e afferrando il megafono con tono mistico disse: “Ascoltate fratelli! Le nostre condizioni fisiche non sono delle migliori, ma ho la soluzione che ci permetterà ancora una volta di cimentarci in questa fantastica impresa!”.

Recuperando lentamente i loro malandati scheletri tutti si ricomposero, prestando attenzione al loro patron. Enriquez continuò: “Cucinerò per voi qualcosa di speciale e vedrete che le forze ritorneranno nelle vostre vecchie membra, e vi sentirete di nuovo come bambini!”.

Sotto gli sguardi attoniti di tutti, si fece portare dal Ciclone una grossa pentola dove, in un soffritto d’aglio gettò le ultime chele di crampo, che irrorò con un ottimo Vermentino di Gallura,.

Nel locale si diffuse un gustoso ed invitante profumino.

“Ma non è che si tratta di doping?”, azzardò una voce.

“Taci Cannibal”, lo apostrofò Enriquez, “ o stavolta finisci te nel pentolone!”.

Un languorino pervase le fauci sdentate del gruppo e, all’unanimità fu deciso che non si trattava di doping, ma solo di un’allegra spaghettata tra vecchi amici.

Vennero distribuiti i fumanti spaghetti e, anche se con una certa difficoltà di masticazione, furono divorati con immenso piacere.

Tra un rutto e l’altro l’effetto cominciò subito a farsi sentire, e sotto i tavoli si udì improvvisamente come uno strano scalpitio di zoccoli e stridenti cigolii di sedie a rotelle assetate d’olio.

In pochi secondi un’orda di vecchi tarampani si fiondò fuori dal locale, invase la strada e si diresse a gruppetti in varie direzioni.

Una squadra, capitanata dal Malox, imboccò la via del cantiere comunale e, smontando e riassemblando alcune biciclette abbandonate nel magazzino dei vigili urbani, riuscirono a mettere insieme ben 18 cyclette dotate di dinamo e luci recuperate da vecchi lampioni. Il Malox, con la scusa dell’incontinenza, sgattaiolò per un attimo nel retro magazzino e, all’insaputa di tutti si appropriò di un semaforo.

Enriquez, nel frattempo, ritornò ad essere la mente del gruppo e, affiancato dal fedele Ciclone, guidò un gran numero di partecipanti verso il Liberty Centre, i quali si arrampicarono fino al secondo piano e dalla palestra rubarono 21 cyclette.

Intanto il Cecido provvedeva a fare razzia di abat-jour e lampadari dal negozio del Pace, ma, prima di ritornare al punto d’incontro, fu preso da un’incontrollabile euforia: fece un salto al campeggio Brione e di soppiatto si inalò un’intera bombola del gas appartenuta a due campeggiatori.

Le donne intanto, con la Levera in prima linea e grazie all’aiuto di Diamante Grezzo che svolgeva ancora l’attività di infermiera presso l’ospedale di Arco, fecero irruzione nel reparto ortopedia, e dalla sala riabilitazione rubarono le 10 cyclette necessarie.

El Verdurer ed i vecchi Big presero d’assalto Cisalfa e, prima di uscire, mossi da un sentimento di pietà, si appropriarono anche di un tapi-roulant da posizionare nel corridoio di casa Ciuccia ed evitare così alla moglie enormi costi di muratura.

Ritrovatisi tutti davanti al bar, vennero caricati su una vecchia corriera dell’Atesina, inspiegabilmente procurata da Ciaramdanak, il quale, dopo che l’operazione all’ernia gli aveva scatenato una serie di dolori in tutte le altre parti del corpo, anche questa volta si era offerto, in cambio di 500 punti, come autista.

Davanti, accanto al guidatore, venne sistemato il cameraman con la sua vecchia telecamera perfettamente funzionante, e da lì poteva inquadrare l’intera compagnia, che nel frattempo aveva cominciato ad intonare pezzi degli Inti Illimanni.

Lo scalcinato bus, per l’occasione dipinto a strisce bianche e nere con stampato sul finestrino posteriore un enorme 6969, imboccò la galleria della Val di Ledro.

Ciaramdanak fece urlare il motore e lanciò la corriera a tutta velocità nel tunnel. L’intero gruppo si trovò spiattellato sui sedili in preda a conati di vomito.

All’uscita della galleria, tirando con forza inverosimile il freno a mano e lasciando metà dei copertoni posteriori sull’asfalto, sterzò a sinistra ed imboccò a tutta birra la ciclabile abbattendo la sbarra delimitante il traffico.

I freni fischiarono lungo i tornanti e improvvisamente si sentì un’esplosione; l’autobus iniziò a sbandare a destra e sinistra e fortunatamente concluse la sua corsa contro la roccia, senza arrecare gravi lesioni ai passeggeri.

Da un anfratto poco distante, sotto l’occhio sbalordito di tutti, sbucò fuori un anziano dai lunghi capelli bianchi, con in testa un elmetto militare e una camera d’aria in mano. Illuminato dai fari, venne immediatamente riconosciuto: era il Coci! Da parecchi anni si era ritirato in una galleria della Ponale e si guadagnava la pagnotta gettando chiodi e puntine da disegno sul sentiero, e aspettando poi, con una buona scorta di camere d’aria, gli sventurati ciclisti sprovvisti di kit di riparazione.

Quando vide la carovana al completo scendere dalle scalette, fu invaso da una profonda energia; corse nella grotta a cercare la sua vecchia maglia del tour che non aveva mai abbandonato, e si unì al gruppo.

Fortunatamente il luogo prestabilito si trovava solo ad una cinquantina di metri, pertanto venne formata una catena ‘semi-umana’ e, ad una ad una vennero calate di mano in mano tutte le cyclette.

Enriquez, ritornato al suo posto di comando, spronava i venerandi personaggi scandendo i tempi di passaggio con una serie di ‘oh issa’ stile galeone spagnolo.

Una accanto all’altra, su varie file, furono posizionate le cyclette munite di dinamo e luci; la terrazza fu così trasformata in una palestra di spinning a cielo aperto, e circa alle 3 del mattino i partecipanti poterono prendere possesso dei loro mezzi.

Il Malox, con sorrisetto maligno che sembrava dire ‘Stavolta ve ciavo tuti’, sfoderò il semaforo e lo agganciò alla dinamo della sua cyclette.

Ciaramdanak si mese precariamente in piedi sulla ringhiera e sventolando un pezzo di carta igienica gentilmente offerta dal Pantuna, diede il via alla gara, e a tutta voce urlò: “Che la luce più forte illumini il vincitore!”.

Le prime pedalate furono un’agonia; si riuscì a scorgere qualche debole luce intermittente sparsa qua e là. Poi, piano piano, i concorrenti riuscirono a prendere il ritmo e si cominciarono a sentire i fruscii dei pedali tagliare l’aria. Poco alla volta l’intera carovana fu avvolta da un’abbagliante luce di mille forme e colori: lo spettacolo fu indescrivibile! Lo spirito del tour invase nuovamente le loro anime, riscaldando i loro cuori di infinito orgoglio!

Sul più bello però, successe un fatto inaspettato: dal ginocchio del verdurer partì improvvisamente un osso di pesca, che si era fatto fatto impiantare pochi giorni prima in sostituzione di una rotula, il quale andò a colpire come un proiettile la fronte di Ciccio Graziani che, rimanendo impigliato nelle pedaline, cadde svenuto andando a sbattere violentemente contro il vicino Tarci.

E fu il disastro! Si innestò una serie di cadute a catena e , uno dopo l’altro finirono fuori dal parapetto. A quel punto, presi dal panico, cominciarono a pedalare con tutte le loro energie e , come sostenuti da una mano divina, si ritrovarono magicamente sospesi nell’aria.

Per alcuni secondi il cielo sopra il lago fu illuminato da un’enorme nebulosa dalle sembianze di un’aurora boreale che svegliò tutti i galli delle tre province.

Poi, senza alcun preavviso e in pieno sincronismo, arrivarono i famosi postumi della spaghettata. L’aria si riempì di strazianti urla di dolore, i crampi paralizzarono le gambe di tutti e l’intera carovana cominciò a precipitare a picco.

Si sentì un grande tonfo, poi fu solo silenzio e buio.


Vennero ritrovati solo due secoli più tardi, quando la lega cinese vinse le ultime elezioni trasformando la pianura padana in un’immensa risaia e, in mancanza di acqua, prosciugò l’intero lago di Garda.

Giacevano sul fondo con ancora i piedi nelle pedaline delle cyclette e lo loro inconfondibili magliette addosso.

Ma i loro teschi erano illuminati da un inspiegabile enigmatico sorriso.







Post scriptum

Non sono stata nelle 3 pagine stabilite ma la fantasia non può e non deve avere limiti